martedì 27 settembre 2011

TRANSFIGURAçAO DI RAFFAELLO

La Trasfigurazione è un dipinto a olio su tavola (405x278 cm) di Raffaello, databile al 1518-1520 e conservato nella Pinacoteca Vaticana.

È l'ultima opera eseguita dall'artista prima di morire, completata nella parte inferiore da Giulio Romano.
Alla fine del 1516 o all'inizio del 1517 Giulio de' Medici (futuro Clemente VII) commissionò due pale d'altare per la cattedrale della sede episopale di Narbonne, di cui era titolare dal 1515, una a Sebastiano del Piombo (la Resurrezione di Lazzaro, in parte disegnata da Michelangelo) e una a Raffello, la Trasfigurazione appunto.Una lettera di Leonardo Sellaio a Michelangelo datata 19 gennaio 1517 accenna alla doppia commissione, ricordando il disappunto del Sanzio per essere finito in quella sorta di competizione: «Ora mi pare che Raffaello metta sotosopra el mondo, perché lui [il Piombo] non la faca [faccia], per non venire a' paraghonj»
Nel 1520 però, quando doveva essere forse a metà della pala, Raffaello morì e in quella circostanza, riporta Vasari, la Trasfigurazione fu collocata davanti al suo letto di morte. Già nel 1520 l'opera si diffuse mediante la pubblicazione di un'incisione, ma tale doveva essere l'interesse del pubblico, che vennero prodotte stampe tratte da un disegno preparatorio, in cui tutte le figure apparivano nude.

Completata poi nella parte inferiore da Giulio Romano entro il 1522, non fu spedita in Francia perché il cardinale decise di trattenerla presso sé, donandola solo in seguito alla chiesa di San Pietro in Montorio, dove decorò l'altare maggiore fino al 1797. In quell'anno infatti, in seguito al Trattato di Tolentino, l'opera, come molte altre, fu portata a Parigi e restituita solo nel 1816, con la Restaurazione. Pio VII decise allora di destinarla alla Pinacoteca.
Sul grado di finitezza dell'opera alla morte del maestro e sull'entità dell'intervento del Romano si sono cercati di studiare vari indizi, come la richiesta di pagamento che il 7 maggio 1522 l'erede del Sanzio rivolgeva al cardinale tramite l'intermediazione di Baldassarre Castiglione e la notizia di un debito (nell'archivio di Santa Maria Novella) di 220 ducati verso l'artista "per conto della tavola d'altare dipinta da maestro R. d'Urbino". Tali pagamenti però non sono da legare strettamente a un intervento collaborativo di Giulio Romano, essendo egli l'erede di debiti e crediti del Sanzio. Inoltre le fonti antiche si contraddicono sullo stato della tavola alla morte dell'urbinate: Vasari scrisse che essa era stata oggetto di lavoro fino agli ultimi giorni di vita, riuscendo a portarla "ad ultima perfezzione", e anche Sebastiano del Piombo, rammaricandosi per la scomparsa del collega in una lettera datata 12 aprile 1520, sei giorni dopo l'evento luttoso, non parlò dell'opera come incompleta. Tuttavia è abbastanza evidente la presenza di aiuti nella parte bassa, che però furono impiegati forse via via nella stesura.
Esistono numerosi studi: uno al British Museum, forse non autografo di Raffaello, in cui la composizione è geometrizzata in due sfere sovrapposte, che mostra, a mo' di schizzo, un diverso punto di vista e un gruppo di apostoli prostrati dalla visione (iconografia tradiozionale), poi sostituito con la scena della guarigione dell'ossesso; uno identico alla composizione finale ma con figure nude all'Albertina, forse di Giulio Romano; vari studi di teste e di singoli personaggi al British Museum, al Louvre, all'Ashmolean Museum
Foto in occasione della nostra seconda visita in Vaticano .  02/01/2016

1 commento:

  1. Che bello dippinto di Raffaello. Complimenti per il Blog!

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